In Italia delle “SS” germaniche si conoscono generalmente solo alcuni
aspetti contingenti, che si legano alle tragiche vicende della seconda
guerra mondiale e che non sono i più adatti a far penetrare il vero
spirito di questa organizzazione, unica nel suo genere. Anche a
prescindere dalla sinistra farsa di Norimberga, ove l’intera “SS” è
stata bollata come “associazione criminale”, gli stessi simpatizzanti
sanno sopra tutto delle qualità che la “SS” ha mostrato come truppa
scelta di combattimento, ignorando quasi il significato politico che
essa ebbe nel terzo “Reich”. Qualche cenno in proposito non sarà dunque
privo di interesse, giacché con la “SS” si realizzò una esigenza, il cui
significato va di là dai quadri del semplice hitlerismo.
L’origine delle “SS” risale ad un piccolo gruppo scelto (Stabswache) formatosi a protezione della persona di Hitler nel primo periodo della sua lotta. È nel 1932 che esse furono organizzate come un vero e proprio corpo, il cosiddetto “corpo nero” (Schwarzkorps) distinto dalle semplici “camicie brune” o “SA”, corpo il quale al momento della conquista del potere contava già centomila uomini. Il comando allora passò da J. Schreck a Heinrich Himmler, che ne restò il capo supremo, dipendente solo dal Führer. Per via della loro azione energica e decisiva sia contro il comunismo, sia all’interno del partito (specie nelle repressioni del 30 giugno 1934), le “SS” assunsero figura di “guardia della rivoluzione nazionalsocialista”; ad esse furon dati ampi poteri e un larghissimo margine di autonomia, il che permise ad Himmler di sviluppare un’azione sistematica selettiva e organizzativa. La sigla “SS”, come molti sanno, deriva dalle iniziali di Schutz-Staffeln, che vuol dire più o meno “staffette o squadre di protezione”. In realtà, le “SS” dovevano divenire la spina dorsale del terzo “Reich”, l’“Ordine” del nazionalsocialismo, una specie di Stato nello Stato, se non pure al di sopra dello Stato.
Lo stesso Himmler indicò nei seguenti termini lo spirito e l’origine ideale della sua organizzazione. In tutti gli antichi Stati — egli dice — è sempre esistita una élite formata da uomini pronti a dar tutto per il loro principe, a difenderlo e proteggerlo, in ciò sentendo un particolare orgoglio ed onore. Tale fu la nobiltà ereditaria, la quale, già sostegno del puro principio della sovranità politica, nell’epoca dell’illuminismo, del liberalismo e del capitalismo decadde, non fu più all’altezza dei suoi antichi compiti. Il problema oggi è di riprendere lo stesso principio e di trarne una applicazione adeguata al nuovo tipo di Stato. Occorreva dar nuovamente forma a una élite che garantisse la stabilità e la continuità del nuovo ordine rivoluzionariamente affermatosi, che ne rafforzasse le strutture, che, in base ad una incondizionata fedeltà, fosse pronta a stroncare tutto ciò che lo minacciasse o avesse carattere di deviazionismo.
Tale è la genesi ideale della “SS”. Himmler teneva molto ad ascrivere
ad essa il carattere di un Ordine, con vari tratti che ricordano
appunto gli antichi Ordini cavallereschi, compreso un carattere, in un
certo modo, ereditario. Per venire a tanto, egli seguì i seguenti
princìpi selettivi.
Anzitutto quello razziale. Si sa che per il razzismo moderno non
tutti gli elementi etnici compresenti in una data nazione hanno lo
stesso valore e la stessa dignità. Fra di essi, uno è quello centrale,
che ha una funzione formatrice, tanto che il suo prevalere o decadere
condiziona anche l’ascesa o il declino dell’intero popolo. Secondo
l’ideologia tedesca, per la Germania questa “superrazza”
corrisponderebbe al sangue e al tipo nordico. La prima cura degli
organizzatori della “SS” fu, pertanto, che essa accogliesse uomini di
origine “aria” ben certa (senza ascendenti nemmeno lontani ebraici o di
razza di colore), i quali nei loro tratti somatici si avvicinassero
particolarmente al puro tipo nordico.
Ciò, come criterio selettivo di primo grado. Date le mescolanze
avvenute nel corso della storia di ogni popolo, è certo impossibile che
il fisico corrisponda esattamente al morale; così se le qualità morali
di tipo “nordico” è più probabile ritrovarle in un uomo fisicamente
nordico che non in quello con tratti di altre razze, pure si impongono
ulteriori considerazioni. Pertanto, gli aspiranti alla “SS” oltre ad
essere in ordine quanto al tipo somatico, avevan da superare delle
prove, in cui le qualità interne ascritte al sangue dell’uomo nordico
fossero tenute a manifestarsi. Si trattava, per così dire, di prove di
carico: l’aspirante veniva messo non di rado in situazioni speciali,
nelle quali egli non poteva non mostrare quel che era il suo vero
carattere.
A tale riguardo, come primo requisito da dimostrare valeva appunto la
fedeltà.
Lo stesso Himmler, in occasione dei fatti del 30 giugno 1934,
aveva dato alla “SS” come parola d’ordine: «Uomo della SS, il tuo onore è
la tua fedeltà», con evidente relazione con una massima dell’antico
codice sassone: «Tutto può essere perdonato, eccetto il tradimento». La
fedeltà qui viene intesa in senso lato: si tratta della fedeltà rispetto
al Capo e alla causa, ma altresì rispetto alla razza e a dei princìpi
fondamentali della condotta, come già fu di norma nell’antica
Cavalleria. È ancora Himmler che scrisse, a tale riguardo, le seguenti
parole, che poco confortano l’immagine distorta e sinistra che alcuni
hanno della “SS” in genere:
«Si pecca contro la fedeltà e l’onore non solo quando si lede il
proprio onore o quella di un’altra SS, ma anche e sopra tutto quando non
si rispetta l’onore di altri, quando si scherniscono cose ad altri
sacre, o quando non si interviene virilmente in favore di chi è assente,
di chi è debole, di chi è indifeso».
Come base per la formazione dell’uomo della “SS”, dopo la fedeltà,
veniva l’obbedienza, che doveva essere piena ed incondizionata, non meno
che nei più severi Ordini monastici. Fu detto che quando l’ufficiale
prussiano giurava sulla sua bandiera, egli non apparteneva più a sé
stesso. Tale tradizione federiciana era stata ripresa dalla “SS”. In
nome del Capo e della Idea, l’uomo della “SS” doveva esser pronto a
tutto,
«anche a sacrificare il proprio orgoglio, gli onori esteriori, e tutto ciò che personalmente ci può essere caro e prezioso».
Doveva potersi frenare quando tutto lo avrebbe spinto ad agire, così
come doveva poter agire, senza esitare, anche nei casi in cui a ciò
avesse sentito i più forti ostacoli interni. Questo requisito
dell’obbedienza assoluta Himmler lo considerava, fra l’altro, come un
correttivo per l’accentuato senso dell’Io e della libertà come l’uomo
nordico ha in proprio, e che spesso in lui ha agito in senso negativo. È
chiaro tuttavia che da ciò può procedere una certa linea di
inesorabilità, la quale è forse fra le cause che, in determinate
circostanze obbligate, han fatto apparire l’agire della “SS” sotto una
luce non del tutto favorevole.
Altre qualità richieste all’uomo della “SS” erano la leale
schiettezza, il dominio di sé (specie quanto ad espressione visibile dei
sentimenti e ai gesti), la capacità di attenersi inflessibilmente a ciò
che si sia deciso o che si sia promesso. A tale riguardo, non si
mancava eventualmente di metter alla prova l’aspirante. Ad esempio, se
si sapeva che egli indulgeva all’alcool o al fumo, gli si chiedeva di
rinunciare, per un tempo più o meno lungo, a tale abitudine, esigendo la
sua parola d’onore. Se non la dava, era espulso; ma se, avendola data,
la tradiva, «non gli restava più che la pistola», cioè che ammazzarsi
(espressione testuale di Himmler).
Un altro caso. Si è accennato che la “SS” tendeva a svilupparsi come
un corpo od Ordine ereditario, come un Sippenorden. Risultato di una
selezione somatica e morale, si voleva che le sue qualità di élite
nordica si trasmettessero in una adeguata discendenza. Da ciò derivava
una ulteriore prova di carico per l’uomo della “SS”. Egli non era libero
di sposare chi voleva. Egli doveva subordinare il fatto personale,
sentimentale o sessuale, ad un interesse d’ordine già superindividuale,
portando la propria scelta solo su donne che presentassero sufficiente
garanzia per una discendenza non degenere o alterata. Per il che
esisteva, nella “SS”, un apposito ufficio. Se l’uomo della “SS” non
sapeva o non voleva impegnarsi in tal senso, veniva parimenti espulso.
Il periodo di prova durava in genere un anno e mezzo, essendo
naturalmente compreso anche l’addestramento militare. Poi, mediante
giuramento solenne e consegna del “pugnale d’onore della SS”, si veniva
aggregati al corpo. Una legge del 1936 disponeva che ogni capo della
“SS” garantisse, sotto la sua responsabilità:
1) che nessun aspirante fosse accettato quando mancassero i requisiti indicati, si trattasse anche di un suo figlio o parente;
2) che ogni anno un quarto dei nuovi elementi non provenisse da famiglie di “SS”.
Con la seconda disposizione si voleva prevenire il cristallizzarsi
della élite in un gruppo artificialmente chiuso, che potesse lasciar
cadere fuori di sé elementi qualificati. Si teneva cioè conto delle
leggi studiate dal Pareto, a che una «circolazione delle élites
garantisse, oltre che la continuità, la vitalità e la freschezza del
nucleo centrale.
Una curiosa definizione (dovuta all’Heydrich) della “SS” è quella di
«truppa di rottura nel dominio della visione del mondo»
(weltanschauliche Stosstrupp). Per il lato negativo, si trattava
dell’attacco contro la visione della vita avente per espressione
precipua il marxismo e il bolscevismo, «antitesi di tutti i valori
dell’uomo ario e nordico»; mentre, per il lato positivo, ciò aveva
riferimento a un modo di “ritorno alle origini” che fu tratto
caratteristico per la “SS”. La “SS”, infatti, intese rievocare le
tradizioni nordiche primordiali, precristiane, nei loro simboli, nella
loro metafisica, nella loro visione della vita; e per gli studi al
riguardo fu incaricata una speciale sezione culturale, detta Ahnenerbe.
Tale “dimensione” fu caratteristica per la “SS”. Già la sigla con le due
esse, stilizzata in un doppio segno a zig-zag, fu identificata con le
cosiddette “rune della vittoria”, antico segno nordico il quale, con
allusione alla folgore, aveva simboleggiato un potere magico, una forza
dall’alto. E questo fu appunto il ben noto segno portato dagli stendardi
e dalle uniformi del “corpo nero”. Invero, l’interesse che nelle alte
gerarchie della “SS” (a partire da Himmler) si ebbe per il mondo dei
simboli e delle tradizioni primordiali, fu spiccato. Si può accennare
che Himmler favorì gli studi di H. Wirth (*), noto ricercatore nel
dominio del simboli e dei miti, e che J. Evola fu ripetutamente invitato
a parlare su tali argomenti, in ambienti di capi della “SS”, trovando
una preparazione e un interessamento maggiori di quelli che incontrò
nell’Italia fascista, dove, a parte una mera vernice, si continuò con le
routines di una intellettualità di tipo deteriore e tendenzialmente
“neutro”, borghese o antifascista (**).
L’articolazione della “SS” è più o meno nota. Vi era la “polizia segreta di Stato” (Gestapo) come un organismo di controllo politico sopraordinato a qualsiasi autorità o persona particolare; in un aspetto speciale, essa aveva figura di SD (iniziali di “servizio di sicurezza”). Vi erano inoltre le formazioni della “Testa di morto” e, infine, le Waffen SS, formazioni puramente militari, divisioni scelte che seppero imporre l’ammirazione agli stessi avversari. Ma, nel complesso e riferendoci al periodo prebellico, il carattere fondamentale della “SS” fu quello di un “Ordine”, di una nuova nobiltà politica razzialmente, moralmente e — nell’accennato settore della “visione del mondo” — anche spiritualmente selezionata, che ambiva a costituire la spina dorsale del nuovo Stato antimarxista e antidemocratico, controllandolo e sorreggendolo con una specie di tessuto capillare: poiché uomini della “SS” erano disseminati in ogni dominio, nella diplomazia, nella burocrazia, nelle università, nell’industria, la qualifica valendo non di rado come una specie di investitura, spesso onoraria e segreta, conferita a persone che si ritenevano degne di essere aggregate al nucleo centrale, fedele custode dell’idea. L’Ordensstaatsgedanke, cioè l’ideale di uno Stato retto non da un “partito” e ancor meno da politicanti democratici o dagli esponenti marxisti del lavoro, ma da un “Ordine”, stava dunque alla base della “SS”, facendo di essa un tentativo audace, il cui significato, a parer nostro, non è limitato all’ultima storia tedesca e ai quadri dell’hitlerismo.
L’articolazione della “SS” è più o meno nota. Vi era la “polizia segreta di Stato” (Gestapo) come un organismo di controllo politico sopraordinato a qualsiasi autorità o persona particolare; in un aspetto speciale, essa aveva figura di SD (iniziali di “servizio di sicurezza”). Vi erano inoltre le formazioni della “Testa di morto” e, infine, le Waffen SS, formazioni puramente militari, divisioni scelte che seppero imporre l’ammirazione agli stessi avversari. Ma, nel complesso e riferendoci al periodo prebellico, il carattere fondamentale della “SS” fu quello di un “Ordine”, di una nuova nobiltà politica razzialmente, moralmente e — nell’accennato settore della “visione del mondo” — anche spiritualmente selezionata, che ambiva a costituire la spina dorsale del nuovo Stato antimarxista e antidemocratico, controllandolo e sorreggendolo con una specie di tessuto capillare: poiché uomini della “SS” erano disseminati in ogni dominio, nella diplomazia, nella burocrazia, nelle università, nell’industria, la qualifica valendo non di rado come una specie di investitura, spesso onoraria e segreta, conferita a persone che si ritenevano degne di essere aggregate al nucleo centrale, fedele custode dell’idea. L’Ordensstaatsgedanke, cioè l’ideale di uno Stato retto non da un “partito” e ancor meno da politicanti democratici o dagli esponenti marxisti del lavoro, ma da un “Ordine”, stava dunque alla base della “SS”, facendo di essa un tentativo audace, il cui significato, a parer nostro, non è limitato all’ultima storia tedesca e ai quadri dell’hitlerismo.
* * *
(*) Su Herman Wirth, cfr. Ricerche moderne sulla tradizione
nordico-atlantica; J. Evola, Aspetti del movimento culturale della
Germania contemporanea, in I saggi della “Nuova Antologia”, Padova,
1982, pp. 18-24, nonché i Cenni bio-bibliografici, a cura di M. Eemans e
R. del Ponte, in Arthos, XII-XIII, 27-28 (1983-1984), pp. 43-45.
(**) Sui rapporti fra Evola e l’ambiente delle “SS”, vedi ora sopra
tutto, a cura della “Fondazione J. Evola”, il Quaderno n. 33 dedicato a
Julius Evola nei rapporti delle SS, Roma, 2000, nonché il “dossier”
dedicato a Weisthor-Wiligut, in Arthos, n.s., IV, 7-8 (2000), pp.
241-265.
Articolo tratto da: http://www.centrostudilaruna.it/evolass.html
Nessun commento:
Posta un commento